LE ALPI APUANE
Le Alpi Apuane si trovano all’estremità nord-occidentale della Toscana ed occupano una superficie di circa 400 Km quadrati. La loro origine è da ricondurre al sollevamento dal fondo del mare che si era formato a partire da circa 220 milioni di anni fa (M.A.) nel Triassico, all’inizio dell’Era Mesozoica. Nella zona esisteva una pianura, residuo di antichissime montagne distrutte dall'erosione (Basamento Ercinico).
Leggi tutto: ApuanePROCESSI SPELEOGENETICI
Fatta esclusione per alcuni tipi di roccia, le grotte si sviluppano nelle rocce calcaree, che siano di origine sedimentaria o metamorfiche; le prime costituiscono una famiglia numerosa ed eterogenea: calcari di origine chimica, formatisi per deposizione e precipitazione del carbonato di calcio; i calcari di origine organogena o biogeni, costituiti prevalentemente da resti (gusci o scheletri calcarei) di organismi viventi o dall’azione degli stessi organismi in grado di fissare il carbonato di calcio.Le metamorfiche, citando come esempio il marmo rappresentano il risultato di un metamorfismo termico o di contatto su una roccia carbonatica.Quando una successione carbonatica, a seguito di eventi tettonici, viene sollevata al punto di emergere sopra il livello marino, si trova ad essere sottoposta all’azione degli agenti atmosferici i quali iniziano il lento ma inarrestabile lavoro di smantellamento e modellamento della porzione emersa.Questo processo chimico – fisico si chiama carsificazione, tale termine indica una particolare condizione morfologica del terreno roccioso, il nome carso, che rappresenta anche una porzione di territorio tra Italia ed ex Jugoslavia, ha radici antiche pre – indoeuropea Kar – Karsa – Karra – Garra dal significato di roccia, pietra, terreno sassoso, fino ad arrivare al termine di uso internazionale di Karst.Il fenomeno di modellazione esterna di un massiccio carbonatico viene indicato con il nome: Carsismo Epigeo o superficiale; mentre quello interno: Carsismo Ipogeo.La carsificazione avviene per EROSIONE e CORROSIONE (più precisamente SOLUBIZZAZIONE). L’elemento fondamentale per cui s’inneschi questo meccanismo è l’acqua (H2O). L’acqua scorrendo esercita un’azione erosiva e di abrasione dovuta anche alle particelle solide in sospensione, mentre l’azione corrosiva e dissoluzione è generata dall’acqua arricchita (acidificata ) di anidride carbonica (CO2), le interazioni chimico – fisiche e gli equilibri tra gli elementi:
roccia calcarea CaCO3 equilibrio ionico Ca++ CO3--
Acqua H2O H+ OH-
Anidride carbonica CO2
Sono regolate da una serie di reazioni chimiche che inquadrano il fenomeno della dissoluzione, esse si possono cosi riassumere:L’acqua filtrando nel terreno si arricchisce di anidride carbonica
CO2 + H2O = H2CO3 Acido Carbonico
H2CO3 <-> H+ HCO3- Ione idrogeno + ione bicarbonico
Questo scambio è regolato dalla concentrazione di CO2 contenuto nel terreno, dalla temperatura e dalla pressione, questo è anche reversibile.
CaCO3 <-> Ca++ CO3-- Ione calcio + ione carbonato
La presenza di ioni di idrogeno rende possibile il processo della dissoluzione in quanto lo ione di idrogeno H+ si lega con lo ione carbonato CO3--, generando uno ione bicarbonico rompendo l’equilibrio ionico CA++ CO3--. Gli ioni HCO3- e lo ione CA++ sono solubili in acqua, quindi per ogni CO2 in acqua si sciolgono 3 ioni.
Quando l’equilibrio viene a realizzarsi ( saturazione ), il processo si arresta. Ora in queste condizioni, può innescarsi il procedimento inverso: infatti è sufficiente un minimo squilibrio, pressione o temperatura , per provocare la precipitazione di carbonato di calcio che non si trova più in equilibrio con l’acqua che contiene CO2.
In conclusione, più un’acqua contiene anidride carbonica disciolta più carbonato è in grado di solubilizzare.
Con il termine Carsismo Epigeo indichiamo un particolare paesaggio in cui l’azione dell’acqua ha modificato la morfologia del territorio. Nelle zone dove questa azione è particolarmente visibile si possono distinguere diverse forme:
o docce, sono solchi della larghezza e profondità di parecchi centimetri e lunghezza di parecchi metri, presentano un andamento tortuoso meandriforme sulle superfici poco inclinate; hanno invece un andamento rettilineo su superfici più inclinate.
La presenza di campi solcati, la loro densità, e le forme dipendono da svariati fattori, principalmente dalla purezza dei calcari. In presenza di troppe impurità, ad esempio quelli dolomitici, dove nella composizione, entra a far parte oltre che al calcio anche il magnesio, l’opera di corrosione da come risultato una massa di blocchi più o meno grossi, senza alcuna particolare disposizione.I solchi carsici sono frequentemente osservabili su massicci calcari montani in quanto il clima nivale, permette all’acqua più fredda di trattenere più a lungo l’anidride carbonica.
Depressione chiusa d'origine carsica, con ripide pareti, di forma ovale o circolare, lunga al massimo poche centinaia di metri. Si distinguono tre tipi di doline:
doline di dissoluzione (1), che si formano per dissoluzione lenta e diffusa del suolo dovuta alle acque che stagnano intorno a una cavità assorbente per qualche tempo dopo precipitazioni meteoriche;
doline di crollo (2), dovute allo sprofondamento del suolo al di sopra di una cavità carsica;
doline di subsidenza (3) sono doline in depositi non consolidati, che vengono evacuati attraverso il sistema carsico sottostante.
In un primo stadio le doline sono assorbenti, hanno cioè al fondo un inghiottitoio nel quale defluiscono le acque, ma poi le acque, che vi confluiscono, apportano argille di decalcificazione che ostruiscono i condotti carsici. Le doline si trasformano allora, dopo ogni pioggia, in paludi o in stagni, che si asciugano lentamente per effetto dell'evaporazione.
(1) (2) (3)
Sono forme carsiche chiuse di grandi dimensioni, tipicamente presenta un fondo piano ed orizzontale e versanti relativamente ripidi. Nei polje attivi il fondo viene allagatostagionalmente quando gli inghiottitoi non riescono a smaltire tutta l’acqua che affluisce nel bacino.
Il carsismo ipogeo rappresenta un’insieme di favorevoli condizioni geologiche che unitamente a situazioni meteorologiche, idriche e geografiche, opportune e indispensabili, consentono l’instaurarsi del processo chimico – fisico, distruttivo o costruttivo, all’interno di porzioni più o meno estese della crosta terrestre, generando antri, caverne, abissi e quegli intricati reticoli di gallerie che spesso fungono da serbatoio idrico.
La grotta come la conosciamo, esplorandone i meandri, gallerie e scendendo i suoi pozzi, è ormai nella sua fase senile, l’acqua ha ormai abbandonato il suo processo di subilizzazione della roccia carbonatica. Il processo, in realtà, inizia nelle microporosità della roccia dove l’acqua, penetrandovi, esercita un’azione chimica aggressiva.
Ghiaia porosità di tipo interstiziale, calcare di tipo fessurale
Un altro elemento non trascurabile è il tempo. Infatti nel tempo questi “vacui“ si allargano, si collegano tra loro diventando condotte in cui l’acqua scorre a pressione, occupando ogni spazio disponibile, esercitando, in questa fase, anche un’azione erosiva e di abrasione contribuendo alla disgregazione della roccia. Il processo termina con la distruzione stessa della cavità.
Conclusioni:
I vacui vengono mano a mano allargati, sotto l’azione debolmente acida dell’acqua, fino a formare condotti interamente occupati dall’acqua stessa ed hanno la caratteristica di essere a sezione elittica. Il processo di erosione in questa fase segue le leggi dell’idrodinamica. Nelle strozzature del condotto aumenta la velocità della corrente, che tenderà ad eliminare i restringimenti. La stessa cosa avviene nelle curve, per tale motivo tendenzialmente i percorsi sono rettilinei e le sezioni circolari. In seguito all’allargamento del condotto l’acqua non circola più a pressione ma scorre a pelo libero, come un qualsiasi corso d’acqua in una stretta gola.
A seguito di tale processo abbiamo come risultato finale forre, anche profonde parecchi metri, meandri, che si impostano lungo le discontinuità tettoniche come faglie e grandi fratture, l’aspetto e simile a quello delle forre ma le pareti alte e ravvicinate descrivono delle sinuosità generate dal regime turbolento dell’acqua, marmitte, scavate dai mulinelli dell’acqua, pozzi, conseguenza dell’erosione verticale dell’acqua in corrispondenza di vuoti che si sviluppano verticalmente.Nelle gallerie fossili, condotte molto antiche abbandonate dall’acqua, esiste un fenomeno di dissoluzione inversa ; il velo dell’acqua esistente sulle pareti delle gallerie, generata per condensa e comunque debolmente acida, promuove la formazione di lame, spuntoni e forme bizzarre e casuali.Come abbiamo visto, l’acqua si trova in equilibrio chimico tra il carbonato disciolto e l’anidride carbonica, in questa situazione basta una minima variazione delle condizioni chimico – fisiche per portare l’acqua ad un livello di soprasaturazione del carbonato di calcio, che inevitabilmente precipita, dando origine al fenomeno del concrezionamento. Con il temine concrezione si definiscono tutti i depositi formati dall’accumulo più o meno ordinato e regolare di veli o ammassi di CaCO3 sotto forma di calcite (sistema cristallino trigonale) o della sua modificazione polimorfa, l’aragonite, che cristallizza nel sistema rombico.Le stalattiti, stalagmiti, colate, sono il risultato di questo processo e ornano tra le più spettacolari cavità esistenti.Generalmente una goccia sgorga da una minuscola frattura, nel nuovo ambiente “libero”, la goccia è sottoposta ad una minor pressione , che gli contente di liberare parte dell’anidride carbonica nell’atmosfera. Si formano minuscoli cristalli di carbonato di calcio che, per le forze di tensione superficiale, si dispongono sulla superficie della goccia e tendono a migrare sui punti di contatto tra quest’ultima e la roccia; dando origine ad un microscopico cerchio di calcite che aumenterà in lunghezza e formerà una stalattite. Le stalagmiti, invece, si innalzano dal pavimento, generate dalle medesime gocce che generato la stalattite che non hanno depositato completamente il loro contenuto di carbonato di calcio, nel tempo arrivano a congiungersi con le stalattiti formando le colonne, qualora l’alimentazione idrica rimanga costante e sufficiente nel tempo. Le colate vengono generate dallo scorrimento di un velo d’acqua lungo le pareti della cavità depositando il carico di carbonato di calcio in esso contenuto.
Un sistema carsico sotterraneo è un sistema di cavità tra loro collegate ed accessibili dall’esterno. A seconda che siano o meno percorse dall’acqua vengono suddivise in gallerie attive, semiattive e fossili. Un sistema carsico possiede una forma geometrica derivata dagli effetti combinati di vari fattori quali ad esempio la sedimentazione, che condiziona spessore ed estensione della zona permeabile; la tettonica, responsabile della pendenza e della fatturazione degli strati di sedimentazione.
Un sistema è generalmente suddiviso in quattro zone ideologiche fondamentali:
zona superficiale di assorbimento,
zona di trasferimento verticale (Vadosa)
zona dei movimenti misti (Vadosa)
zona satura (Freatica).
Zona di assorbimento comprende tutta quella superficie le cui acque andranno ad alimentare il collettore principale, in questo territorio si distinguono due zone: assorbimento disperso, in cui l'acqua è assorbita attraverso le microfratture, le doline e pozzi, e zone di assorbimento in massa, come gli inghiottitoi, dove l'acqua entra in grande quantità. Il sistema carsico può essere alimentato da bacini che non sono strettamente legati al massiccio ( vedi le polje ) in cui una zona impermeabile si trova a contatto con il sistema.
Zona di trasferimento verticale formata da una rete di vuoti drenanti (vadosa) anche di grande dimensioni che consentono il trasferimento, essenzialmente per gravità, della massa idrica che durante le precipitazioni sono di notevole quantità, verso i condotti più profondi fino alla zona satura.
Zona dei movimenti misti in cui i moti dell’acqua hanno un comportamento sia verticale che orizzontale, in cui le acque di ruscellamento confluiscono in fiumi sotterranei che preludono all’acquifero profondo.
Zona satura è costituita da quella parte dell’intero sistema carsico nel quale il reticolo di gallerie è completamente pieno d’acqua (freatico) e rappresenta il volume totale dell’acquifero. Questa zona è soggetta a oscillazioni del volume chiamato livello piezometrico o superficie piezometrica e rappresenta il livello che raggiunge l’acqua, invadendo le zone sovrastanti, in occasione di piene.
Come viene “assorbita”, l’acqua viene restituita dalla zona che possiamo definire di affioramento. La fuoriuscita può avvenire all’aria libera, ed è allora facilmente individuabile, esce da gallerie debolmente inclinate lungo le quali scorre a pelo libero; oppure sotto pressione da sorgenti o fratture della roccia; oppure può risalire da grande profondità, altre volte il sistema ipogeo ha il suo sbocco sotto uno strato di depositi alluvionali, oppure da sorgenti sottomarine. Le sorgenti possono essere attive, da cui l’acqua esce perennemente, o semi attive che funzionano da troppo pieno in occasione di piene.
Bibliografia:
F. Cossutta - chimica e carsificazione
G. Bianucci, E. Ribaldone Bianucci - La chimica delle acque sotterranee
Autori vari – Manuale di speleologia – Cai
Collignon B. – Il manuale di speleologia
Greppi G. – Idrologia
RILIEVO TOPOGRAFICO IPOGEO
Quando una cavità carsica o qualunque sistema sotterraneo sono stati completamente o in parte esplorati l'unica conoscenza reale della cavità e quella costituita dalla memoria visiva degli esploratori che possono ricordarsi delle caratteristiche interne ( misure e lunghezze delle gallerie, profondità dei pozzi, ecc.) con una certa approssimazione e abbondanti inesattezze. Quindi abbiamo bisogno di un metodo descrittivo della cavità che permetta una facile interpretazione della stessa, in termini di ubicazione e di morfologia. In mancanza di un rilievo topografico la grotta conosciuta ed esplorata rimane un episodio personale e privato. una volta rilevata, invece, diventa un patrimonio conoscitivo a disposizione di tutti.
Quindi la domanda che ci si pone nel realizzare uno studio topografico è quale uso ne verrà fatto in futuro; inizialmente gli speleologi ricorrono al rilievo topografico per necessità di conoscere quanti e quali pozzi, quante e quali strettoie o quale sarà il livello idrico che incontreranno, infine, interpretare il tipo e la quantità di materiale da impiegare per l'escursione.
In seguito quando cresce la maturità esplorativa, si ricorre al rilievo per capire, e intuire futuri sviluppi della cavità.
In conclusione il rilievo di una grotta è un disegno che rappresenta la sua forma, dimensioni, andamento e percorribilità, in poche parole ci mostra come è fatta la grotta.
STRUMENTAZIONE
Gli strumenti fondamentali che vengono utilizzati per acquisire le misure vengono suddivisi in metrici e angolari:
Metrici
Tutti gli strumenti che sono utilizzati per misurare le distanze e si suddividono:
- Strumenti di misurazione diretta ( metri in genere, rigidi o flessibili , rotelle metriche, topofil ecc)
- Strumenti di misurazione indiretta ( cannocchiali distanziometrici in genere, tacheometri e teodoliti, telemetri ottici o laser ecc ).
Angolari
Sono strumenti che misurano le grandezze angolari e si suddividono in :
- Misuratori di angoli orizzontali ( tutti i tipi di bussole, goniometri, ecc )
- Misuratori di angoli verticali ( eclimetri, clinometri, clisimetri, ecc.)
Tralasciando il funzionamento degli strumenti metrici che ovviamente ci restituiscono una distanza espressa in metri, più interessanti che meritano nota di spiegazione, sono gli strumenti angolari.
Misurazione degli angoli orizzontali
Lo strumento per antonomasia è la bussola che misura un angolo orizzontale rispetto al nord magnetico che non corrisponde al nord geografico ma varia con il tempo e il luogo, questo scarto angolare è definito declinazione magnetica.
N = Nord Geografico , Nm = Nord Magnetico
La bussola a traguardo in figura viene usata puntando la bussola stessa in direzione del punto da traguardare e si leggono i gradi corrispondenti compresi tra 0 e 360 con una risoluzione di 0,5 gradi che rappresenta anche l’errore strumentale ( +/- 0,5°; se non viene espresso dal costruttore in percentuale), i numeri più piccoli indicano la direzione opposta rispetto al punto traguardato, in pratica si aggiunge o si sottrae 180°, esempio se leggiamo 30° la direzione opposta sarà 30° + 180° = 210° se invece leggiamo 330° l’opposto sarà 330° - 180° = 150°.
Questo tipo di bussola, funziona correttamente se posizionata orizzontalmente, infatti basta inclinarla leggermente che il quadrante interno incontri dell’attrito, sfalsando la lettura ( figura ), oltre all’errore strumentale abbiamo anche un errore operativo o di lettura.
Misurazione degli angoli verticali
Questi strumenti vengono utilizzati per la misura di un dislivello e restituiscono un valore espresso in gradi o in percentuale i più usati sono gli eclimetri a gravità:
Questi tipi di strumenti sono dotati di una doppia scala, si possono leggere quindi i valori angolari compresi tra 0° e +/- 90° con una divisione ( risoluzione ) di un grado tuttavia permette una stima approssimativa delle frazioni di grado, che valori in percentuale di pendenza da 0% a +/- 155% suddivisi in punti di percentuale.In questo tipo di strumento l’errore più comune e il segno dell’inclinazione e l’inversione delle scale.
In Conclusione per disegnare una grotta abbiamo bisogno di un metro ( manuale o digitale ) per le misure di lunghezze, di una bussola per le misure degli angoli orizzontali ( Azimut) o di direzione e di un eclimetro per gli angoli di inclinazione ( Zenit ) o di pendenza.
AQUISIZIONE DATI
Il rilevo è una procedura lunga e laboriosa che si compone di due fasi la prima di raccolta dati la seconda di restituzione grafica. La squadra da rilevo e formata da almeno due persone, una che si dedica alla misurazione con gli strumenti sopraccitati, l’altra alla trascrizione dei dati con eventuali annotazioni di particolare rilevanza e la tracciatura dei capisaldi.
Per comprendere quali tipo di dati abbiamo bisogno per disegnare una grotta, prendiamo come esempio una galleria ideale :
Immaginiamo che una linea K) percorra l’intera galleria, se la galleria fosse dritta ci sarebbero due punti P), uno di inizio ed uno di fine, in presenza di variazione di direzione o pendenza abbiamo l’esigenza di avere più punti P0, P1, P2, P3, questi si chiamano capisaldi , per definire la loro posizione nello spazio abbiamo bisogno di sapere la distanza tra un punto P0) e quello successivo P1) la direzione azimut (α) l’inclinazione zenit (β) ed infine una misura di lunghezza che definisce il punto rispetto le pareti della galleria un alto, un basso, un destro e un sinistro .
Tutti questi dati andranno riportati in un taccuino detto di campagna , è formato da fogli due a due: uno rappresenta una tabella, e l’altro è un foglio a quadretti dove fare degli schizzi che possono aiutare nella restituzione grafica.
Lo scopo è quello di creare una poligonale ovvero una linea spezzata che collega tutti i punti; ogni tratta della poligonale è chiamata battuta, ogni battuta permette, quindi, di definire ogni punto (caposaldo) nello spazio.
In fase di raccolta i capisaldi vengono contraddistinti con dei numeri o lettere progressive e vengono marcati sul campo in modo che sia visibile, il loro posizionamento deve essere tale che da ogni caposaldo sia possibile traguardare il successivo e il precedente, utile a tale scopo, è il puntamento laser che permette di definire il caposaldo successivo in modo preciso e veloce.
Le misurazioni vanno fatte seguendo la successione di punti considerando lo zero come punto di partenza, che può essere il punto di ingresso o il punto più interno alla grotta, è importante aver chiara la successione e la direzione di rilevamento in quando i dati di lunghezza relativi al destro e sinistro sono sempre riferiti traguardando il caposaldo successivo, inoltre questi due dati vanno presi in modo perpendicolare al dato della lunghezza, differentemente, deve essere annotato, questo per facilitare la restituzione.
Utile è disegnare lo spaccato dei capisaldi.
La figura mostra anche le misurazioni di: alto, basso, destro e sinistro, per ogni caposaldo; le misure si intendono quelle massime dal punto, quindi è facile trovarsi nella condizione di sommare più misure per un unico dato in quanto la cavità difficilmente è regolare; è doveroso dire che in una restituzione grafica 1: 300 o 1:500 risulta difficile apprezzare pochi centimetri di differenza il che ci permette, solo per questi dati, di fare degli arrotondamenti in fase di misurazione.
In presenza di ambienti più grandi o di rami laterali chiusi è necessario tracciare una poligonale secondaria:
poligonale per irraggiamento si esegue posizionando un caposaldo centrale sulla poligonale principale e da questo si battono tante tratte quante risultano necessarie a definire la forma del salone, partendo da un punto e muovendosi in senso orario e contrassegnandoli con una lettera per differenziandoli dai punti della poligonale principale.
Poligonale secondaria chiusa in questo caso si segue il profilo delle pareti della sala cominciando da un caposaldo della poligonale principale e terminando sullo stesso.
Poligonale secondaria aperta è il metodo per rilevare dei rami laterali che solitamente chiudono, si battono i punti come la poligonale principale, alla quale deve essere agganciata.
RESTITUZIONE GRAFICA
La restituzione grafica non è altro che la trasformazione dei nostri dati acquisiti nella campagna di rilievo in un documento di facile lettura ovvero il disegno della cavità.
Il disegno è formato da due parti fondamentali : la pianta o planimetria e la sezione o spaccato
In questa fase cambieremo strumenti di lavoro :
Squadre da disegno.
Goniometro circolare con divisione in gradi sessagesimali con precisione al mezzo grado.
Calcolatrice scientifica con funzione trigonometrica.
Matite e gomma per cancellare.
Fogli da disegno millimetrati.
Per prima cosa si deve stabilire la scala :
la scala 1:200 (un centimetro della squadretta = 2 mt)
1 metro di grotta equivale a 5 mm su carta;
la scala 1:500 (un centimetro della squadretta = 5 metri)
1 metro di grotta equivale a 2 mm su carta;
La pianta o planimetria è la rappresentazione della cavità sul piano orizzontale quindi gli elementi relativi allo sviluppo altimetrico non vengono riportati ma ci permette di conoscere l’andamento della grotta e il suo orientamento rispetto al nord magnetico.
Dopo aver stabilito la scala, si procederà alla trasformazione della lunghezza (L) in un valore corrispondente alla sua proiezione con la formula trigonometrica:
Lp = L * cos β
Dove β e l’angolo zenitale.
Infine andrà diviso per la scala, esempio :
L distanza tra P0 e P1 = 9.50 mt
Angolo β = 25°
Scala 1:500
Lp = cos 25° * 9.50 / 0.5 = 17,21 mm
A questo punto sul foglio di carta millimetrata dopo aver stabilito il Nord del foglio, disegneremo il caposaldo di partenza P0, con il goniometro segneremo la direzione azimutale α e tracceremo il primo segmento, in questo caso di 17,21 mm , segnando il punto P1, si procederà allo stesso modo per i punti successivi , P1-P2, P2-P3 ecc.
In alternativa si può disegnare sul foglio di carta millimetrata la lunghezza reale L rapportata alla scala e inclinata dell’angolo β la proiezione misurata sul piano orizzontale corrisponde alla nostra Lp; ma in questo caso è possibile avere un errore che non è il risultato di un calcolo matematico.
Infine utilizzando i dati di destro e sinistro, facendo attenzione alla direzione, si calcolerà la distanza tra le pareti, con il supporto degli schizzi fatti durante la campagna completeremo i contorni della grotta.
La sezione o spaccato è la rappresentazione altimetrica della grotta non in forma di proiezione ma di “stiramento” ovvero ogni battuta viene disegnata in successione omettendo la direzione, un po’ come fare una foto panoramica a 360° e mettendo le foto una accanto all’altra; in questo modo otteniamo una visione lineare della grotta ma dell’andamento verticale.
In pratica ogni segmento di lunghezza tra caposaldi andrà disegnato, ridotto in base alla scala di utilizzo, inclinato dei gradi zenitali β utilizzando il goniometro, è importante fare attenzione al segno dei gradi, positivo o negativo. Infine con le lunghezze di alto e basso disegneremo il contorno, anche in questo caso torneranno utili gli schizzi degli spaccati.
Terminata la fase di riporto grafico della cavità può essere trasferito su lucido o in formato elettronico, il disegno dovrà essere completato con i seguenti dati : nome della cavità, posizione geografica ( coordinate ), scala di rapporto sia grafica che numerica, data del rilevamento e nominativi della squadra. Tutte queste informazioni compresa copia del materiale dovranno essere trasmessi al catasto grotte competente per la registrazione e l’assegnazione del numero progressivo di catasto.
POSIZIONAMENTO
La posizione dell’ingresso della grotta e un dato importante che viene identificato con le:
coordinate geografiche che sono riferite al sistema WGS84 (è l'acronimo di World Geodetic System 1984, esso costituisce un modello matematico della Terra da un punto di vista geometrico, geodetico e gravitazionale, costruito sulla base delle misure e delle conoscenze scientifiche e tecnologiche disponibili al 1984), definite in latitudine ( distanza angolare dall'equatore ) e longitudine (indica la distanza angolare in senso Est o Ovest dal meridiano fondamentale. Tale angolo viene misurato in gradi sessagesimali su un piano perpendicolare all'asse terrestre e può assumere valori nell'intervallo da 0 a 180° E e da 0 a 180° W ).
Coordinate chilometriche i meridiani e i paralleli nel sistema di coordinate geografiche non sono linee rette ed equidistanti ne formano un reticolo di questo tipo su alcuna delle proiezioni cartografiche di largo uso. Da qui la necessità di introdurre un sistema completamente diverso, quello delle coordinate piane (o cartografiche o metriche), al fine di poter usufruire nelle carte di un reticolato ortogonale ed equidistante. Le coordinate piane, indicate Est e Nord, sono in sostanza coordinate cartesiane dove l’ascissa è costituita dall’equatore e l’ordinata dal meridiano centrale del fuso a cui appartiene la zona rappresentata sulla carta. Infatti, per evitare forti deformazioni sul piano della carta, la superficie terrestre viene suddivisa in "spicchi" detti fusi, dell’ampiezza di 6° di longitudine. Il sistema di coordinate piane oggi maggiormente usato nel mondo è il reticolato chilometrico, che si riferisce alla proiezione universale trasversa di Mercatore (U.T.M.). Il reticolato della proiezione universale trasversa di Mercatore, indicato come sistema U.T.M., consiste di 60 "spicchi" detti fusi, ciascuno della larghezza di 6° di longitudine, numerati da 1 a 60 a partire dall’antimeridiano di Greenwich e procedendo verso E. 20 fasce dell’ampiezza di 8° di latitudine e indicate con lettere maiuscole. I quadrangoli risultanti dall’intersezione fra un fuso ed una fascia sono detti zone e designati con il numero del fuso seguito dalla lettera della fascia.
L’Italia si trova nei fusi 32 e 33 e nella fascia S e T; quindi risulta suddivisa nelle zone 32T, 32S, 33T, 33S. In Italia viene usato il sistema chilometrico GAUSS – BOAGA ( sistema nazionale Roma 40 ) in cui il meridiano di origine è situato sul Monte Mario – Roma. Sulle cartine topografiche CTR ( carta tecnica regionale ) sono normalmente indicate sia le coordinate geografiche che U.T.M. Per il nostro utilizzo vengono utilizzate le carte tecniche regionali in scala 1:5000.
Il metodo più classico per posizionare una grotta è quello di traguardare con la bussola, dall’ingresso della grotta, punti noti riconoscibili sia sulla carta topografica che sul terreno circostante. In pratica con la bussola verranno letti gli angoli tra la direzione del nord magnetico e la direzione dei punti traguardati.
I dati rilevati andranno riportati sulla carta, dopo le dovute correzioni in base alla declinazione magnetica, con l’utilizzo del goniometro e la squadra si riporta l’angolo ribaltato di 180° e si tracciano le linee . Dall’intersezione delle linee si ottiene un triangolo, al cui interno e posizionato l’ingresso della grotta. Più piccolo è il triangolo ottenuto più precisa sarà la posizione. Infine a lato della carta andranno letti i valori delle coordinate che siano chilometriche o geografiche.
Negli ultimi anni con l’introduzione sul mercato di strumenti come il GPS a costi ridotti e decisamente più facile e immediato posizionare una cavità in coordinate geografiche con errori inferiori ai 5 metri.
MATERIALI DA GROTTA
L'ambiente ipogeo presenta elementi e caratteristiche peculiari che lo contraddistinguono da altri ambienti in cui ci troviamo a vivere: oscurità, temperatura bassa (ma non troppo), umidità (tanta), acqua, roccia e fango, strutture verticali (pozzi) e/o strette (meandri, strettoie e budelli). L'esplorazione delle grotte richiede dunque un equipaggiamento opportuno: un vestiario che protegga, per quanto possibile, il nostro corpo nell'ambiente ipogeo; materiali di progressione che permettono di superare ostacoli strutturali; e anche altri materiali che servono a rendere l'esplorazione delle grotte più sicura, efficace e piacevole. Anche se un poco artificioso, i materiali da grotta possono venir suddivisi in tre gruppi:
materiali personali,
materiali di squadra,
materiali speciali.
Il primo comprende tutti quei materiali di cui ogni speleologo, in condizioni normali, dovrebbe essere fornito: il vestimento personale e l'attrezzatura da progressione. Il secondo gruppo comprende i materiali comuni, che servono a tutti i componenti della squadra, e sono condivisi da tutti, durante un'uscita in grotta. Per esempio: le corde, i materiali d'armo, il set da rilievo, etc. Infine i materiali speciali servono in particolari situazioni e vengono portati solamente quando se ne prevede l'utilizzo, come ad esempio particolari materiali da disostruzione.
1.1 Materiali Personali
I materiali personali sono il vestiario e gli attrezzi per la progressione su corde. Il tipico campionario
dello speleologo pre-alpino consiste di
guanti, di gomma resistente, ruvidi;
stivali, di gomma e con la suola scolpita;
calzettoni, di lana molto caldi;
sottotuta, di pile e col collo alto;
tuta, in nylon oppure in PVC;
casco da grotta con impianto di illuminazione;
materiale di manutenzione varia;
imbraco e pettorale;
longes, discensore, croll e maniglia.
1.1.1 Guanti
I guanti in gomma, ruvidi per consentire una discreta presa, e resistenti, proteggono le mani dal freddo, dalla roccia, dall'acqua e dall'argilla. Non devono essere troppo stretti, per non bloccare le dita, né troppo larghi, per non compromettere la presa delle mani. Devono avere dei polsini abbastanza lunghi (ma non troppo) in modo che vadano a coprire i polsini della tuta.
1.1.2 Stivali
Gli stivali, alti fin sotto il ginocchio, lisci senza lacci, stringono bene il piede, per fornire un appoggio sicuro (ma non devono essere tanto stretti da far male!). Un piede "libero" ha maggior sensibilità e resta più caldo (la circolazione non è impedita).
La suola ben scolpita è essenziale per l'aderenza sulla roccia umida e sovente fangosa. Gli stivali da grotta non sono foderati internamente, per facilitarne l'asciugatura; però anche dei normali stivali, leggermente foderati internamente, risultano più che adeguati.
La comunità degli speleologi è suddivisa in due fazioni a riguardo delle calzature da grotta: quelli pro stivali e quelli pro scarponi. Pur riconoscendo che in determinate situazioni gli stivali "devono" essere rimpiazzati dagli scarponi (per esempio negli inghiottitoi d'alta montagna coperti di ghiaccio o nelle grotte nel ghiaccio), riteniamo gli stivali nettamente migliori degli scarponi per le grotte pre-alpine. Gli scarponi infatti sono troppo rigidi, non abbastanza impermeabili, più pesanti, più bassi, e non offrono una tanto migliore aderenza degli stivali sulla roccia, bagnata e fangosa, in grotta.
Altri due svantaggi degli scarponi sono la facilità di usura (specialmente per quelli in pelle e tela; forse cio` non vale per gli scarponi in plastica) e la presenza di gancetti di chiusura che si possono impigliare.
Un problema comune a stivali e scarponi sono i sassolini. Per prevenirlo si portano la gambe della tuta sopra gli stivali e, se serve, fermate da un elastico. In genere le gambe della tuta non sono abbastanza lunghe per gli scarponi. Come suggerimento (mai sperimentato) proponiamo l'uso di ghette indossate sopra gli scarponi e sotto le gambe della tuta.
Naturalmente quando entrano sassolini nelle calzature, la cosa da fare è fermarsi e toglierli, sfilando e pulendo la calzatura appena possibile, invece di proseguire sopportandone il fastidio.
1.1.3 Calzettoni
I calzettoni sono molto importanti: servono per tenere il piede isolato dal suolo (che è freddo) e per proteggerlo durante la progressione. Devono essere caldi, anche quando sono bagnati.
I calzettoni devono avere rinforzi sui talloni e sulle punte. Meglio usare un solo paio di calzettoni che due paia di calze più sottili.
1.1.4 Sottotuta
Sotto la tuta si indossa il sottotuta, capo unico che copre torso, braccia e gambe e protegge dal freddo. Evita l'uso di due capi di vestiario distinti, uno per la parte superiore del corpo e uno per quella inferiore: tendono a separarsi formando dei rigonfiamenti e lasciando una zona scoperta. Il sottotuta deve essere in fibra idrofoba, cioè che respinge l'acqua. In tal modo, l'umidità prodotta a livello della pelle (per sudorazione) migra verso l'esterno. Per tale motivo è bene portare il sottotuta a contatto con la pelle. Deve essere abbastanza aderente per evitare l'effetto "soffietto" (che raffredda) ed elastico, in modo da non impedire i movimenti.
Ci sono modelli in pile o polartec. Essi asciugano facilmente anche se molto bagnati, purchè portati indosso (ma la tuta sopra riduce l'evaporazione).
Non occorre che il sottotuta sia troppo pesante, a meno di andare in cavità eccezionalmente fredde. Un peso intermedio è sufficiente per le grotte prealpine, dove la temperatura varia fra i cinque e i nove gradi. Il collare alto è decisamente utile e comodo.
Il sottotuta deve avere:
rinforzi su gomiti e ginocchi
elasticità
collare alto
polsini e caviglie morbidi ed elastici
1.1.5 Tuta
La tuta in nylon è decisamente la migliore per la speleologia pre-alpina. Essa permette di traspirare il sudore ed evita che il sottotuta resti troppo bagnato. Tuttavia ci sono situazioni in cui la tuta in PVC risulta più conveniente: in grotte molto bagnate e/o fangose, con intenso stillicidio, in lavori di scavo nel fango, ecc.. La tuta non deve essere troppo stretta per lasciare liberi nei movimenti, ma neppure troppo larga.
Il cappuccio, in materiale impermeabile e leggero, indossato sotto il casco, protegge dall'acqua e tiene caldo alla testa. Deve essere sottile in modo da non ingombrare quando indossato sotto il casco. Una tasca interna, in genere sotto l'ascella sinistra è conveniente per metterci piccole cose: la peretta per l'acqua, le sigarette, un po' di cioccolato, frutta secca, ... . I polsini non sono indispensabili: un paio di bande elastiche (tagliate dalla solita camera d'aria) suppliscono perfettamente. Infine dei rinforzi sui ginocchi e sui gomiti prolungano la vita della tuta. Le gambe della tuta vanno sopra gli stivali.
Dopo l'uscita in grotta conviene ripiegare la tuta a rovescio mettendo le gambe e le braccia all'interno. In tal modo il fango resta all'interno e si può anche trasportare la tuta nello zaino senza usare il sacco di plastica. La tuta ripiegata forma una specie di sacco dentro il quale si possono mettere anche stivali, guanti e attrezzi.
Manutenzione della tuta e riparazioni:
La tuta deve essere lavata, in acqua fredda o appena tiepida, per rimuovere l'argilla infiltrata fra le fibre. E` consigliabile un lavaggio senza detersivi, con una spazzola morbida. Un poco di argilla resta comunque e la tuta è destinata a perdere la morbidezza cha aveva appena comprata e a diventare "rigida". In grotta la tuta si usura, e si rompe, spesso lacerandosi tagliata da sporgenze di roccia acuminata, o da concrezioni a cavolfiore, a volte strappandosi sulle cuciture. Per riparare la tuta si utilizzano pezze dello stesso materiale (nylon per la tuta di nylon, PVC per quella in PVC), incollate con appositi mastici (per esempio "Seam Grip" della McNett Corp., Box 996, Bellingham WA 98227, USA). La tuta deve essere accuratamente lavata prima di una riparazione per migliorare l'aderenza delle pezze. Nella tuta in PVC le pezze vengono applicate all'esterno e solo incollate. Nella tuta di nylon le pezze possono essere applicate all'interno della tuta. Le pezze vengono poi cucite lungo i bordi dello strappo e lungo il bordo della pezza stessa.
1.1.6 Casco
Il casco serve per proteggere dalla caduta di pietre e dagli urti imprevisti contro la roccia (Figura). Esso deve anche proteggere la testa in caso di eventuali cadute. Il principale requisito del casco e` la resistenza e la capacità di assorbire l'energia di un urto trasferendo una forza ridotta alla testa e al collo (meglio che si rompa il casco piuttosto che la testa).
Secondo la direttica CE 8916861EEC ogni casco omologato deve riportare la sigla CE ( Conforme alle Esigenze ) e deve essere accompagnato da un manuale tecnico che ne spiega le caratteristiche, l'impiego, e i limiti di utilizzo.
I caschi sono costituiti da una calotta semirigida e una cuffia interna fissata alla calotta. La calotta deve restare sollevata sopra la cuffia, con uno spazio libero di alcuni centimetri. L'assorbimento del colpo è affidato ad una imbottitura di schiuma cellulare disposta intorno alla circonferenza del cranio (di spessore circa 10 mm e altezza circa 40 mm). Il casco deve avere un sottogola robusto collegato davanti alle orecchie e sulla nuca, in modo da mantenere il casco in posizione.
Fattori di confort del casco sono:
- i fori di aerazione
- il peso contenuto e il bilanciamento
- l'ingombro
- la regolabilità del giro della testa
- la lavabilità della cuffia interna
La visiera è inutile, anzi riduce la visuale. I caschetti da alpinismo soddisfano questi requisiti; sono abbastanza leggeri, relativamente poco ingombranti, comodi da portare per molte ore, e soprattutto dotati di una resistente allacciatura sotto il mento. In particolare è utile che l'allacciatura sotto il mento sia facilmente apribile, anche con una sola mano e in condizioni scomode. Risulta infatti spesso necessario liberarsi del casco mentre si sta affrontando una strettoia, e si ha una sola mano libera. Inoltre è indispensabile portare la fonte di illuminazione montata direttamente sul casco in modo da lasciare le mani libere e da orientare la luce nella direzione di vista. Perciò sul casco si porta l'impianto di illuminazione che, in genere, consiste di due indipendenti fonti di luce, una a gas acetilene, l'altra elettrica, più recentemente le nuove tecnologie hanno portato l'introduzione di illuminazione a LED ad alta efficienza che permettono di soppiantare l'acetilene. La prima è la fonte di illuminazione primaria, mentre la seconda serve per sopperire alla prima quando questa viene meno, ... e ciò succede spesso purtroppo: sotto stillicidio, per forte corrente d'aria, per il fango, per molti altri motivi.
1.1.7 Imbrago
L'imbrago deve essere :
- semplice, facile da mettere e togliere (anche in situazioni scomode),
- resistente alle abrasioni,
- con un punto di attacco basso (per facilitare la risalita su corda),
- con pochi anelli per evitare che si impigli,
L'imbrago viene chiuso in vita con una maglia rapida in acciaio (mai in lega) da 10 mm di forma triangolare (detto "delta") oppure a semicerchio (detto "ovale", oppure "maillon a mezza-luna"). Il delta viene posizionato con l'apertura a sinistra. Non chiudere mai l'imbraco con un moschettone, neppure se d'acciaio e con ghiera: il cricchetto può rompersi se sottoposto ad un moderato sforzo!
E`piuttosto consigliabile utilizzare un pezzo di fettuccia, o di corda, se manca la maglia rapida. Non attaccare mai la corda ad un anello per gli accessori in quanto non sono fatti per sopportare grandi pesi. Chiudere bene le fibbie (la fettuccia deve sporgere almeno 8 cm) e controllare la regolazione spesso: i movimenti di risalita tendono ad allentare la fettuccia nelle fibbie. Dato che l'imbraco è un accessorio personale si puó risolvere questo problema cucendo la fettuccia dopo essersi regolato il proprio imbraco.
Infine ricordare che è molto pericoloso se una persona resta appesa in stato incosciente per molti minuti (più di 15 minuti) poiché l'imbrago può provocare impedimenti alla circolazione con pericolo
di morte. In tal caso i compagni devono agire per il recupero dell'infortunato con rapidità .
Può capitare che la ghiera del delta si apri durante la risalita, ma è una occasione abbastanza rara, e non dovrebbe succedere se è stata stretta bene. Comunque è bene controllare la chiusura della ghiera prima di scendere o salire ogni pozzo (e magari anche durante il pozzo). Qualora sembri che la ghiera tenda ad aprirsi da sola, è bene sostituire il delta.
Prima e dopo l'uso è necessario controllare le condizioni delle fettucce e delle chiusure dell'imbraco. I produttori consigliano sempre di cambiare l' imbraco dopo una grave caduta, perché ci potrebbero essere delle lesioni interne non visibili. L'imbraco va
pulito con acqua non troppo calda (max. 30 C) e poi asciugato in un locale buio e ventilato. Bisogna pure evitare di lasciare l'imbraco esposto alla luce diretta (per le radiazioni ultraviolette) per periodi prolungati. Evitare il contatto con prodotti chimici che potrebbero danneggiare le fibre. Anche temperature troppo fredde (sotto -40 C) o troppo calde (sopra 80 C) sono dannose.
L'imbrago deve essere sostituito quando le fettucce sono lesionate per oltre il trenta percento della larghezza, oppure dopo cinque anni (per l'invecchiamento) anche se non ci sono lesioni apparenti.
Può capitare che il delta o un moschettone a ghiera risulti difficile da aprire (o come si dice è "bloccato"), a causa del fango, o altro. In tal caso si puó provare ad aprirlo utilizzando una fettuccia umida avvolta attorno alla ghiera per migliorarne la presa. Alternativamente si può utilizzare una maglia rapida (ad ampia apertura) o la testa del discensore.
1.1.8 Pettorale
L'imbrago viene completato nelle risalite su corda da un pettorale (Figura), che è un anello di fettuccia indossato a "otto" attorno alle spalle e fermato sul davanti attaccandolo al croll con un cordino regolabile (il tiracroll o tendicroll). L'idea è che il croll resti teso (ben teso!) sul petto in modo che la corda vi scorra dentro facilmente mentre si risale.
Il pettorale ad otto può essere indossato in un altro modo: sempre incrociato sulla schiena ma passando sulla pancia e con una "V" sul collo. Questa disposizione è (probabilmente) migliore se il pettorale ha una fibbia di regolazione, che risulta piu` comoda se si trova sulla "V". Questo pettorale non necessita del cordino tendicroll. Un altro tipo di pettorale è a forma di bretella. In ogni caso il pettorale non è assolutamente adeguato per attaccarci la corda, ma serve solo per tenere teso il croll.
1.1.9 Longe
La longe è un pezzo di corda con attaccato un moschettone in lega senza ghiera ad ampia apertura (Figura). La corda deve essere dinamica, di diametro almeno 10 mm, per sostenere la forza d'arresto in caso di caduta. Le longes si attaccano al delta direttamente o mediante un moschettone (a ghiera).
Per collegare la corda ai moschettoni si usa un nodo ‘ guida con frizione ’( detto comunemente otto).
La longe può essere semplice o doppia, cioè si può usare una unica longe oppure due longe fatte sullo stesso pezzo di corda.
Le longes devono essere sostituite al minimo segno di usura. Da tener presente che non solo le corde in nylon invecchiano e si usurano, ma anche i moschettoni in lega sono soggetti ad usura (per la flessioni indotte dalle trazioni) e a indebolimento per senescenza. Perciò anche i moschettoni in lega devono essere sostituiti (almeno dopo cinque anni).
1.1.10 Discensore
Il discensore è un attrezzo che ci permette di scendere una qualsiasi verticale, trasformando l’energia acquisita in calore dissipato.
Può essere di due tipi: semplice o autobloccante (Figure). Il discensore autobloccante ha il vantaggio di una maggior facilità di bloccaggio. E` però un errore usare il discensore autobloccante come freno.
La corda viene stretta fra le pulegge, si appiattisce e si rovina prima.
Il discensore si attacca al delta mediante un moschettone in lega a ghiera con tenuta non inferiore ai 2000 kg. Il discensore richiede anche un moschettone di rinvio (freno moschettone), meglio se in acciaio poiché si consuma meno. Sul posizionamento del moschettone di rinvio vi sono "scuole" di pensiero: certi manuali dicono di mettere il moschettone di rinvio nel delta che chiude l'imbraco, con l'apertura del cricchetto in alto; in tal modo risulta più facile fare le chiave di bloccaggio, però c'è il rischio di infilare la testa del discensore nel moschettone di rinvio; altri dicono di mettere il moschettone di rinvio nello stesso moschettone che tiene il discensore, all'esterno del discensore stesso, e con l'apertura in alto a destra , con questa soluzione , il freno moschettone risulta poco efficace con corde nuove o infangate.
Le pulegge del discensore devono essere rovesciate quando sono troppo usurate dalla parte su cui scorre la corda, e cambiate quando sono usurate da entrambe le parti (Figura). In queste operazioni fare attenzione a bloccare strettamente i dadi.
1.1.11 Croll e Maniglia
Il croll e la maniglia sono standard (Figure).
Il croll viene attaccato direttamente nel maillon che chiude l'imbraco e collegato al pettorale tramite il tiracroll. La maniglia viene collegata al maillon con una longe (in caso di longe doppia a quella più lunga) e possiede un pedale, cioè una staffa in cui si può infilare un piede, od entrambi, per innalzarsi durante la risalita su corda. La longe della maniglia è una longe lunga, dunque e possibile portare solo una longe corta, oltre a quella della maniglia, utilizzabile senza la maniglia.
Entrambi i bloccanti hanno un perno che impedisce al cricchetto di ruotare oltre un certo limite e di strozzare la corda. Questa è una misure di sicurezza in quanto in caso di caduta si rompe la calza, ma non l'anima della corda e l'attrezzo può scivolare sui trefoli fino a fermare la caduta.
I bloccanti devono essere puliti accuratamente dopo ogni uscita, come tutti gli altri materiali.
Il pedale viene realizzato con un pezzo (circa 2.5 m) di cordino statico del diametro di 6 o 7 millimetri. Puoi usare anche cordino in "dyneeman" o in kevlar che sono più rigidi del nylon e molto più resistenti all'abrasione. Sconsigliato è l'uso della fettuccia.
Ad una estremità ha una ampia gassa, in cui viene messo un piede o entrambi durante la risalita, ed una piccola gassa all'altra per collegarlo al moschettone (o maglia rapida) della maniglia. La
lunghezza del pedale deve essere tale che stando in piedi col piede nella staffa e tendendo il pedale il cricchetto della maniglia risulta appena sopra il croll, viene regolato approssimativamente a terra, poi regolato in fase di risalita su corda
La longe della maniglia viene realizzata con uno spezzone di corda dinamica (diametro 10 o 11) o con un pezzo di fettuccia. La lunghezza della longe deve essere tale che piegando la gamba col piede nella staffa e alzando la maniglia con la mano la longe risulta tesa (Figura ).
1.2 Materiali di Squadra
In grotta si va (solitamente) in squadra di due, tre, quattro, o anche più speleologi. Il numero migliore è tre o quattro. Se si è in quattro ci si può dividere in due squadre da due nella zona "operativa", per esempio una squadra arma mentre l'altra rileva. Squadre da due sono "essenziali", ma efficaci, soprattutto nella progressione che risulta in genere più veloce. In due si può portare abbastanza materiale per portare avanti l'esplorazione di una grotta: armare, fare risalite, disostruzioni, rilevare. In più di quattro, si comincia ad essere in troppi; il numero è giustificato se si tratta di una uscita di corso, oppure se alcuni componenti non sono ancora esperti.
Una o più squadre, particolarmente numerose, sono invece necessarie quando si organizzano immersioni in grotta. In tal caso il numero elevato di componenti è giustificato dalla mole del materiale da trasportare.
Nella squadra ognuno è responsabile verso chi lo segue. Non devi tener d'occhio chi ti precede, ma chi ti segue. Se lo speleologo che ti precede ha dei problemi, te ne accorgi inevitabilmente perché è sulla tua strada. Invece può succedere di non accorgersi quando chi ti segue ha dei problemi. Quindi se non lo vedi (o senti) arrivare torni indietro per verificare se è successo qualcosa. Non ti preoccupare di avvisare chi ti precede (se non sei in contatto di voce), anch'egli, se segue questa regola, tornerà indietro.
I materiali di squadra comprendono:
- sacco, per trasportare i materiali;
- corde, per i pozzi;
- la sacchetta del carburo di scorta;
- i materiali d'armo;
- i materiali da rilievo;
- i materiali da disostruzione;
- i materiali di conforto: cibo, fornelletto, telo termico, ecc..
1.2.1 Il sacco da grotta
Il sacco per il trasporto dei materiali deve essere abbastanza grande ma non eccessivamente grosso (Figura). Un sacco di forma tubolare, del diametro di 23 cm, alto 60 cm, (con una capacità di 25 litri) e' giusto quello che ci vuole. Secondo Marbach e Rocourt ci stanno dentro 200 metri di corda del nove! (Anche se non e' bagnata ed infangata il sacco comincia a pesare!) Per le grotte con numerosi meandri, risulta comodo il sacco di sezione schiacciata a forma di tasca, largo 30 cm, alto 70 cm : il volume e' ridotto a 20 litri, salvo esplorazioni eccezionali che richiedono un elevato numero di corde questo e' sufficiente e, nei meandri , risulta molto più comodo. Il sacco ha due spallacci (in fettuccia piatta da 40 mm), una maniglia laterale (per portarlo a mano), un cordino (6 mm) per appenderlo, e un cordino per chiuderlo. Questi due cordini devono lavorare indipendentemente, cioè quando ci si appende il sacco col cordino il nodo sul cordino di chiusura non deve essere sollecitato.
Al cordino per appendere il sacco è attaccato solitamente un moschettone (senza ghiera), usato per appenderlo sui pozzi e trascinarlo nelle strettoie. Durante il trasporto conviene agganciare questo moschettone al cordino di chiusura (o alla maniglia superiore) in modo che non rimbalzi in giro. E` utile fare un nodo (semplice) a metà di questo cordino, per ridurre le oscillazioni del sacco quando lo si trasporta appeso sotto durante le risalite dei pozzi lunghi, attaccandoselo più vicino.
Per la chiusura si utilizza un nodo piano (Figura) Una eventuale maniglia sul fondo risulta utile, per disincastrarlo e tirarlo. Il sacco ha anche un gancio interno per assicurarci il materiale con dei moschettoni, e anche una patella per evitare che il materiale fuoriesca durante il trasporto.
Ci sono due modi per non stancarsi trasportando il sacco: non portarlo mai, oppure portarlo sempre. Col primo non si fa molta strada, e ben presto gli ostacoli incontrati in grotta risulteranno insormontabili. Perciò conviene affidarsi al secondo metodo, cioè essere allenati a portarlo sempre. Dopotutto è anche comodo avere un sacco con noi: ad andare in grotta senza sacco ci si sente un poco nudi, manca qualcosa ...
1.2.2 Le corde
In grotta si usano corde "statiche" da 10 o da 9, qualche volta anche 8 mm (di diametro). Differentemente dall'alpinismo per cui si usano corde dinamiche atte ad assorbire cadute con fattore di caduta 2 (v. dopo), in speleologia le caduta hanno fattore uno, dato che si procede verso il basso (scendendo i pozzi).
Le fettucce, al contrario delle corde, non hanno una anima portante protetta da una calza esterna, ma solo la struttura esterna, perciò sono più facilmente soggette a lesioni per usura.
Le corde devono essere provviste sulle estremità di etichette indicanti la lunghezza e un codice per il registro delle corde (tenuto scrupolosamente dal magazziniere). In tale registro vengono annotati i dati delle corde: tipo, produttore, data di acquisto, e la storia di utilizzo, in particolare "choc" (arresto di caduta) e altri danneggiamenti subiti. Riguardo alla data d'acquisto, almeno l'anno dovrebbe essere segnato anche sulla corda.
La "staticità" cioè la non elasticità delle corde è importante per aumentare l'efficacia della progressione in risalita, oltre che a ridurre quel noioso movimento su-e-giù! Inoltre le corde statiche sopportano meglio (cioè si rovinano meno) l'azione degli attrezzi da discesa e risalita.
Le corde si accorciano con i lavaggi e le asciugature ripetute (circa 4%). Le corde si riducono in lunghezza durante il normale uso speleologico. L'accorciamento è pari a circa 13% (11% nel primo anno). Perciò le corde nuove, prima di essere utilizzate in grotta dovrebbero essere "preparate" dal magazziniere, per evitare che si accorcino notevolmente dopo le prima uscite. Si mette a bagno la corda per una notte nell'acqua. In ogni caso, non si deve mai usare una corda che abbia sostenuto uno "choc" da caduta, cioè abbia sostenuto l'arresto di una caduta. Questo può infatti produrre lesioni interne alla corda, non visibili esternamente. Pertanto la corda non deve essere utilizzata per la progressione verticale (pozzi, traversi, etc.).
Le cause dell'usura sono:
- la flessione e torsione dovute al discensore (o peggio al mezzo barcaiolo);
- la compressione dei dentini dei bloccanti
- i microcristalli intrusi (che aumentano l'attrito e facilitano le lacerazioni interne);
- il riscaldamento causato dai discensori (attrito esterno);
- l'abrasione contro la roccia, ma anche con ancoraggi di piccolo raggio;
- lo snervamento delle fibre, causato dalla progressione sia in discesa che in risalita;
l'invecchiamento "naturale" (depolimerizzazione) causato dai raggi ultravioletti e dagli agenti atmosferici (acidi).
Lo stiramento causato dalle pulegge del discensore ha un effetto doppio rispetto alla compressione dei cricchetti degli attrezzi da risalita. Infatti in discesa la corda deve assorbire e dissipare l'energia (potenziale) ceduta dallo speleologo che scende. In risalita, questa energia potenziale è fornita dallo speleologo stesso che "pedala", e la corda viene coinvolta in uno scambio energetico molto minore.
Con un uso normale, una corda si usura, ma mantiene le sue capacità di arrestare una caduta, quindi fornisce l'adeguata sicurezza. Questa viene meno se l'armo non è ben fatto e la corda sfrega contro la roccia. L'abrasione dovuta allo sfregamento contro la roccia indotto dal movimento durante discese e risalite è il vero distruttore delle corde da speleologia. Nell'abrasione delle corde sulla roccia intervengono molti fattori:
- asperità della roccia (microrugosità)
- superficie di appoggio (lame)
- forza di pressione sulla roccia
- ampiezza degli scorrimenti della corda
Da tener presente che le microlesioni nella calza diventano discontinuità che tendono ad accrescersi, cioè punti di preferenziale danneggiamento: una volta iniziata la lesione questa procede sempre più in fretta.
Anche l'acqua può spezzare una corda, sbattendola ripetutamente contro la roccia. Questo è più probabile vicino ai punti di attacco, dove risulta sempre lo stesso punto della corda a sbattere.
Anche lo sfregamento sugli ancoraggi può arrivare a rovinare una corda. Questo però introduce un discorso a parte, sugli armi permanenti e sulla loro manutenzione.
Acidi e solventi chimici (per es. benzina) e oli danneggiano le corde. Infine bisogna evitare inutili sollecitazioni alle corde: fare dunque attenzione a non calpestarle e a non colpirle con sassi.
L'invecchiamento naturale ha un effetto ridotto rispetto alle cause d'usura del normale uso. Una corda può essere preservata "integra" se mantenuta in luogo fresco asciutto e buio. In ogni caso la vita media del nylon e di circa dieci anni, dopodichè le fibre decadono abbastanza velocemente. Una corda più vecchia è inaffidabile.
La pulizia (lavaggio con tanta acqua e spazzola morbida) e una buona manutenzione sono necessarie, per controllarne lo stato di affidabilità prima di portarle in grotta. Il lavaggio accurato serve a togliere i microcristalli di argilla dalla calza e dall'interno della corda. Il carico di rottura di una corda si riduce nel punto in cui questa forma il nodo con cui viene attaccata all'armo. Questa diminuzione è causata dalle spire del nodo che stringono la corda e la bloccano. In genere questa riduzione è di circa 30%.
Senza nodi le fettucce si rompono per snervamento delle fibre. Anche per le fettucce la resistenza sul nodo è ridotta di circa il 30% rispetto a quella nominale. Una fettuccia doppia su moschettone ha una resistenza pari al 140% del valore nominale. Su un anello (da 6 mm) la resistenza è circa uguale al valore nominale. Su una placca (4 mm) è ridotta all'80%. In queste tre situazioni si ha fusione delle fibre per attriti sugli ancoraggi, dovuta ad una concentrazione degli sforzi (e quindi attriti maggiori) per le pieghe.
Le corde vengono trasportate nel sacco, filate, con un nodo su entrambi i capi. Se sono corte si possono anche avvolgere a matassa e mettere nel sacco. E` importante controllare spesso che le corde non siano lesionate: in tal caso vanno tagliate in corrispondenza della lesione, con il coltellino o martellandole con la mazzetta su una lama di roccia. I due capi della corda tagliata si bruciano poi con la fiamma dell'acetilene per evitare che la corda si sfilacci. Avendo il coltellino si brucia la corda sino a fondere quasi i trefoli, prima di tagliarla; in tal modo risulta più semplice tagliarla e i due capi restano terminati senza sfilacciarsi.
1.2.3 Il carburo
Il carburo di scorta si porta nella apposita sacca ricavata da una camera d'aria (Figura). Il diametro deve essere abbastanza grande per infilarci il sacchetto con lo scarburo. Un diametro di 12-14 cm e` una misura ragionevole. Dentro questa si mette anche un sacchetto di plastica per riporre le polveri esauste quando si scarbura. Tale sacchetto viene poi riposto nella sacca stessa per evitare che si rompa durante il trasporto. Nel trasportare il carburo bisogna fare attenzione a che non si bagni; ciò potrebbe provocare anche esplosioni!
1.2.4 Materiali d'armo
I materiali d'armo comprendono spit (chiodi perforanti ad espansione; spit e' l'acronimo di Societe' de Prospection et d'Inventions Techniques) e coni, piantaspit, martello, chiave, piastre e anelli, moschettoni e maglie rapide.
spit e coni devono essere almeno una dozzina per squadra. I coni possono essere portati in un tubicino di gomma chiuso alle estremità. Oppure si può utilizzare la cartucciera per spit e coni. Di solito le sacchette d'armo hanno una tasca per spit e coni, ma fare attenzione che potrebbe essere bucata. Infine si può usare una scatoletta di plastica come contenitore.
Di piantaspit uno basta, ma e' bene averne anche uno di scorta. L'impugnatura deve avere un diametro di circa tre centimetri e lunga circa 14-15 cm. Deve avere un anima in acciaio duro, ne` fragile ne` plastico (per trasmettere il colpo allo spit). Un paracolpi non e` necessario, ma e` utile per riparare la mano spittando in posizioni astruse. Il piantaspit deve avere una leva per ruotarlo o una spina forzata su cui si puo` martellare (piano), quando non si gira. Il piantaspit deve avere un anello di cordino (o fettuccia) di sicura che viene avvolto sul polso durante l'uso. Questo anello deve essere attaccato al piantaspit tramite un anello metallico in modo che girando il piantaspit esso non ci si avvolge attorno.
Il martello d'armo è abbastanza leggero, con una massa battente di 400 grammi e con una piccola becca. Il martello da grotta ha pure una chiave tubolare da 13 mm in fondo al manico. Se ne può portare anche uno solo: in caso di necessità si può rimpiazzare con la mazzetta da disostruzione. Il martello ha un lacciolo che viene messo attorno al polso durante l'uso. Questo evita di lasciar cadere accidentalmente il martello. Evitate di battere col martello senza tenere il lacciolo: questo tende a finire davanti alla massa battente durante il colpo e viene rotto facilmente. Il lacciuolo deve essere 3 cm più lungo della impugnatura. Se è troppo corto rende l'uso del martello scomodo e meno efficiente.
Il martello è utile anche durante la progressione in meandrini stretti e profondi. Oltre che per allargare la via, può essere utilizzato incastrato fra le pareti per fornire un punto di appoggio. (Anche il sacco funziona abbastanza bene per fornire punti di appoggio).
La chiave, da 13 mm, è indispensabile poichè quella sul martello non va bene per gli anelli. E` tanto leggera che e' bene averne un paio per squadra. E` consigliabile una doppia chiave 13-17 utile sia per avvitare i bulloni che per aprire il delta in caso di necessità. Il numero di piastre e/o anelli con i relativi moschettoni e/o maglie rapide dipende dalla spedizione: in genere una decina risulta sufficiente. A volte quando bisogna fare piccole risalite anche dei chiodi da roccia e degli anelli di fettuccia possono servire. I chiodi sono pure utili per togliere il fango dalla tuta se non si ha un coltellino.
1.3 Resistenza dei Materiali
La progressione in grotta può essere ritenuta sicura solo quando i materiali utilizzati hanno caratteristiche tecniche e meccaniche che li rendono resistenti ed affidabili.
Per resistenza si intende la capacità di un attrezzo di sopportare delle sollecitazioni gradualmente crescenti; queste possono essere : dinamiche ossia applicate in pochi secondi ( es. cadute ) o statiche di durata prolungata ( trazioni lente), tipiche della progressione speleologica.
Con il temine affidabilità si riuniscono vari concetti quali la praticità d’uso la resistenza in funzione dell’utilizzo e la riduzione al minimo delle possibilità di un uso scorretto. Più un attrezzo è affidabile più è pratico da usare e minori sono le possibilità di commettere errori.
Per meglio chiarire i concetti sopra esposti si possono fare alcuni esempi:
Il bloccante mobile è un attrezzo estremamente affidabile, infatti se montato sulla corda in modo errato non consente di salire di un solo centimetro; ma se lo esaminiamo in termini di resistenza presenta un carico di rottura molto basso ( circa 550kgp ).
Il cavo d’acciaio è estremamente resistente ma al contrario non è affidabile poiché richiederebbe un’infinità di complicate manovre per poter essere utilizzato con il conseguente aumento delle possibilità di commettere errori, oltre agli attrezzi che servirebbero alla progressione. Inoltre per l’elevata rigidità del cavo stesso non assorbirebbe l’energia in una banale caduta.
In conclusione si può affermare che un attrezzo molto resistente, ma complesso nell’uso, a tanto insicuro quanto un attrezzo semplice ma poco resistente.
1.3.1 Valori minimi di resistenza
Per poter valutare quando un attrezzo presenta una resistenza tale da essere ritenuto sicuro è necessario disporre di un valore di riferimento che tenga nel giusto equilibrio caratteristiche di resistenza e affidabilità. Questo valore è stato quantificato di 1100 kgp considerando le peggiori ipotesi di caduta nella normale progressione in grotta ( con fattore di caduta pari a 1, cap. 1.3.2 ). Il valore di 1100 kgp deve essere garantito da tutti gli elementi che compongono la catena di sicurezza e progressione in grotta, a partire dalla roccia fino all’ imbraco con l’attrezzatura, tenendo conto del decadimento dei materiali per usura ed invecchiamento.
1.3.2 Fattore di caduta
Per meglio comprendere a quali sollecitazione sono sottoposti i materiali è doveroso introdurre il concetto molto importante in alpinismo e speleologia : IL FATTORE DI CADUTA.
Il fattore di caduta (Fc) è strettamente legato alle corde, allo loro elasticità ed al loro impiego: la tenuta di una corda è in rapporto alla sua lunghezza, ossia alla possibilità di suddividere una determinata sollecitazione su una superficie maggiore; per contro la forza prodotta da una caduta è stretta connessione con l’altezza della stessa. Possiamo quindi definire il fattore di caduta come il rapporto tra l’altezza della caduta (h) e la lunghezza della corda che arresta la caduta (l) fig 4.
FC = h / l
Da questo si deduce che cadere da 1 m di altezza su 1 m di corda produce lo stesso effetto (sulla corda) che cadere da 100 m su 100 m di corda, in questi casi il fattore di caduta Fc è sempre uguale ad 1. In arrampicata il Fc può assumere valori compresi tra 0 e 2 ( ossia altezza di caduta pari al doppio della lunghezza della corda). In speleologia il Fc non deve superare il valore di 1, dovuto principalmente alle caratteristiche dalle corde statiche.
1.3.3 Le Corde
Le corde sono strutture molto complesse composte da due tipi di materiale sintetico (nylon e perlon) e costituite da un nucleo interno, l’ANIMA ed un involucro esterno, la CALZA. L’anima è formata da un numero variabile di trefoli, quasi sempre dispari,intrecciati tra loro parte in un senso e parte nell’altro.
Ogni trefolo ha un carico di rottura attorno ai 130 Kgp ed è a sua volta costituito da un intreccio di fili elementari. La calza ha la funzione protettiva e concorre alla tenuta complessiva della corda per circa 1/3. Le corde si dividono in dinamiche (alpinismo) e statiche (speleologia); la differenza sostanziale tra le due tipologie sta nella proprietà elastica, maggiore nelle prime e minore nelle seconde. Dal punto di vista strutturale la diversità viene ottenuta con un diverso intreccio dei fili elementari, ma i materiali di costruzione sono gli stessi. Una corda assorbe l’energia prodotta dalle sollecitazioni a cui è sottoposta in tre modi : per elasticità, per plasticità e per attrito. L’elasticità è un fenomeno reversibile, ossia l’energia assorbita in tal modo viene restituita in modo uguale. La plasticità ed attrito invece sono due fattori irreversibili, l’energia assorbita viene dissipata a discapito della struttura della corda che ne subisce delle deformazioni anche non visibili. Le corde più usate in speleologia hanno un diametro di 10 mm che offrono una buon compromesso tra tenuta e durata nel tempo e un fattore di rottura superiori a 2800 kgp mentre quelle da 9 mm attorno ai 2400 kgp.
Nel valutare i carichi di rottura delle corde si deve tenere presente il cosiddetto “effetto nodo”. Infatti, quando si confeziona un nodo ad un capo della corda il carico di rottura della stessa si riduce dal 25% al 50% a seconda del tipo di nodo.Una corda senza nodi si rompe per l’eccessivo allungamento e snervamento delle fibre che la compongono.Una corda annodata si rompe nel punto di uscita del nodo per fusione delle fibre causata dal surriscaldamento per l’attrito prodotto dallo scorrere delle spire che compongono il nodo l’una sull’altra.
1.3.4 Tasselli
I tasselli rientrano nella categoria degli ancoraggi artificiali che vengono fissati alla roccia per poi realizzare l’armo di progressione. Gli spit sono tasselli ad espansione autoperforanti. Sono prodotti industriali per carpenteria e esistono vari produttori. Il nome completo di quelli della SPIT e` Spit Roc MF8, "M" indica che sono fatti per inserzione manuale, "8" è il diametro del bullone. Ci sono anche i PF8 da inserire con il perforatore; con l'uso sempre più comune del trapano questi stanno soppiantando gli MF8.
Vengono inseriti nella roccia scavandoci prima un foro, mediante lo spit stesso: questo e` infatti dotato di dentini che servono per frammentare la roccia. Quando il foro è fatto si inserisce lo spit con un opportuno conetto in punta: questo espandendo lo spit lo blocca nel foro.
In genere gli spit devono essere distanti almeno una spanna dai bordi delle placche di roccia, e fra di loro. Prima di mettere uno spit si prova la qualità della roccia col martello fino a trovare della roccia buona: la roccia marcia ha in genere un suono ottuso. Se è il caso si lavora la roccia con la becca per rimuovere eventuale roccia superficiale poco consistente e per spianarla perchè la piastra deve appoggiare bene alla roccia. Questo tipo di tassello garantisce carichi di rottura molto elevati; in relazione al tipo di roccia in cui viene applicato, possiamo avere valori ad estrazione di 3100 kg e a taglio di 2250 kg (NB: questo ultimo valore e dato dal cedimento a taglio del bullone in acciaio 8.8).
Con il diffondersi dei tassellatori a batteria si è cominciato ad usare altri tipi di tasselli , usati comunemente in edilizia, chiamati comunemente FIX ,sono tasselli provvisti di un manicotto per bloccarli nel foro. Sono disponibili in varie misure; i più usati sono da 8 mm. Anche questi sono costruiti da vari produttori. A parità di diametro, hanno tenute inferiori agli spit, 1400 kg a taglio e 1800 kg ad estrazione.
1.3.5 Bulloni
I bulloni devono essere di qualità industriale e devono riportare la marcatura indicante in grado di resistenza: 8.8, 10.9 oppure 12.9. Il primo numero denota il carico di rottura, per esempio 12.9 ha un carico di rottura di 120 Kgp/mm2. Il secondo numero indica la frazione del carico di rottura cui incomincia lo snervamento. Ad esempio un 12.9 incomincia a snervarsi al 90% del carico di rottura.
Bulloni senza marcatura di resistenza non sono affidabili perchè la qualità non è garantita.
I bulloni per spit sono gli M8. I bulloni devono avere una lunghezza adeguata in modo che la vite entri sufficientemente nel tassello (almeno cinque giri). Quindi, con le piastrine si usano bulloni da 15 mm (lo spit ha 12 mm di filettatura, e la piastra ha uno spessore di 4 mm), con gli anelli si usano bulloni da 20 mm (l'anello ha uno spessore di 8mm).
Per una adeguata resistenza e` sufficiente la classe 8.8. In effetti le prove sui materiali hanno mostrato che i bulloni M8-8.8 hanno una resistenza a taglio di 2900 Kgp e una ad estrazione di 3300 Kgp (stretti con una coppia di 2 Nm). Questi valori scendono leggermente all'aumentare della coppia (2700 e 3000 Kgp rispettivamente a 6 Nm). Tenuto conto che spesso i bulloni lavorano parte ad estrazione, parte a taglio, questi valori mostrano che gli M8-8.8 sono adeguati purchè:
stretti con una forza di circa 20 Kg;
avvitati per almeno cinque giri;
la placca o l'anello aderisca al tassello (o alla roccia), altrimenti il bullone lavora a flessione
1.3.6 Plachette ed anelli
Plachette ed anelli rappresentano l’elemento fondamentale della catena di sicurezza in quanto permettono il collegamento tra chiodo e moschettone e/o corda. La resistenza di questi elementi non dipende solamente da fattori strutturali propri dei materiali di cui sono costituiti ma anche da come vengono utilizzati in base alla loro forma geometrica e di come le forze vengono applicate. Possiamo distinguere i seguenti tipi:
Plachette ritorte (o vrillè): sono ideali su pareti strapiombanti dove il nodo non si trovi a contatto con la roccia, la versione in acciaio può essere utilizzata a soffitto.
Plachette piegate (o coudèe) : sono ottimali quando il moschettone va ad appoggiare sulla parete distanziando la corda che vi è collegata, ovviamente il moschettone sotto carico non deve far leva sulla plachetta.
Anelli : sono attacchi che possono essere utilizzati in tutte le angolazioni; permettendo l’applicazione diretta della corda senza utilizzo.
Carichi di rottura di alcuni ancoraggi più comuni in funzione dell’angolo di applicazione del carico espressi in Kgp
1.3.7 Moschettoni
I moschettoni servono per attaccare la corda alla piastra, oltre che per l'attrezzatura personale. Ce ne sono di svariate forme e caratteristiche. In speleologia si utilizzano generalmente quattro forme di moschettoni:
- moschettoni ovali o paralleli, per armi ed attrezzi;
- moschettoni ovali asimmetrici, per armi e attrezzi;
- moschettoni a larga apertura (senza ghiera), per la longe;
In genere si tratta di moschettoni in lega, ad eccezione del freno moschettone del discensore (e senza ghiera).
I moschettoni riportano una marchiatura indicante le caratteristiche di resistenza, la marcatura CE (Standard CE prEn 136.005.02 - 1995, la sigla "CE" significa "Conforme alle esigenze", il numero che segue è il codice del laboratorio che ha testato l'oggetto) può avere tre simboli indicati l'utilizzo appropriato del moschettone:
H : moschettone per mezzo barcaiolo;
X : ovale per carichi minori (fattore caduta = 1), quello per speleologia;
K : per ferrate (fattore caduta pari o superiore a 2).
Gli analoghi simboli UIAA (Unione Internazionale Associazioni Alpinistiche) sono:
L : leggero (per speleologia);
N : normale (per alpinismo);
K : per ferrate.
I numeri indicano i carichi di rottura nominali, espressi in kilonewton (KN: per esempio 18) o in kilogrammi (per esempio 2650). Il numero maggiore si riferisce alla trazione longitudinale, lungo l'asse maggiore (quello in cui dovrebbe lavorare il moschettone); i numeri minori a trazione trasversale, e longitudinale a cricchetto aperto. La ghiera serve a bloccare il cicchetto, quelle in lega hanno comunque carichi di rottura, per sollecitazioni dirette sulla ghiera a moschettone chiuso, generalmente compresi fra 500 e 700 kgp (ma può essere anche di soli 300 kgp).
1.3.8 Maglie rapide
Al posto dei moschettoni si possono utilizzare le maglie rapide con chiusura a ghiera. La chiusura deve essere completamente bloccata. L’uso di queste è necessario per armi persistenti, risalite e grotte lasciate armate per lungo tempo perchè i moschettoni si corrodono più facilmente.
In realtà in speleologia si usano due (o tre) tipi di maglie rapide:
maglie ovali da 8 mm, per armi, e per il pedale della maniglia;
maglie da 10 a semi-cerchio o triangolo ("delta") per chiudere l'imbraco.
Anche le maglie rapide, come i moschettoni riportano un codice di produzione del tipo
Questo dice che l'anno di produzione è il 1998, il numero di identificazione CE è 0082, il carico di rottura lungo l'asse maggiore è 25 KN (circa 2500 Kg) e lungo l'asse minore 10 KN (1000 Kg). Questi carichi si riferiscono alla maglia rapida con la ghiera completamente avvitata è alla giusta coppia di serraggio: non deve essere visibile alcun filetto.
Il senso di trazione raccomandato dipende dalla forma della maglia rapida. In genere è lungo l'asse maggiore.
Bibliografia:
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G. Marbach, B. Tourte - Techniques de la spèlèologie alpine – expè, france, 2000
CNS, CNSAS – Resistenza dei materiali speleo-alpinistici – 1989.
Manuale del Cai – Manuale di Speleologia, 2003
Bilancio Idrologico
Lo studio del processo fisico di trasferimento dell'acqua dall'atmosfera al suolo, nel sottosuolo e quindi nei fiumi verso il mare e ancora verso l'atmosfera, si chiama idrologia. L'idrogeologia studia la distribuzione l'immagazzinamento e la circolazione delle acque che filtrano nel sottosuolo in relazione alle formazioni geologiche e le proprietà chimico fisiche delle stesse. L'idrologia carsica è lo studio della circolazione delle acque all'interno di un massiccio carbonatico carsico.
Inizialmente vennero formulate due teorie apparentemente distanti tra loro rispettivamente da E.A. Martel e da A.Grund.
E.A. Martel nella sua teoria del “fiume sotterraneo”, basata su esperienze speleologiche, sostenne che all'interno dei massicci carsici le correnti idriche sono ben locate e praticamente indipendenti anche se ramificate. Secondo A. Grund, invece, nei massicci carsici è presente una massa d'acqua diffusa permanente in costante riciclo in ingresso dalle precipitazioni meteoriche e in uscita dalle sorgenti. Quindi la teoria è che la massa d'acqua oscilli in base alle precipitazioni più o meno abbondanti. Questa teoria venne perfezionata come oggi la conosciamo. Se pur valida come teoria risulta poco esaustiva rispetto alla complessità della dinamica della carsogenesi profonda ne risulta che ogni sistema carsico ha una sua caratteristica ben precisa che va studiata singolarmente nel quale si riconoscono un'insieme di vuoti non omogenei in cui possiamo riconoscere zone preferenziali di sviluppo che riflettono l'ambiente di formazione. L'evoluzione di una rete di cavità carsiche sotterranee dipende da numerosi fattori che possono essere riuniti in quattro gruppi principali.
Fattori geologici : caratteri litologici del calcare interessato e quindi la sua porosità, posizione stratigrafica e spessore della formazione in funzione di formazioni non calcaree, condizioni strutturali e movimenti tettonici.
Fattori geomorfologici : riferimento al suolo superficiale in funzione al trasferimento della massa d'acqua nel sottosuolo.
Fattori climatici: rappresenta la disponibilità di H2O in relazione ai suoi stati (liquido – solido – gassoso ) in funzione della temperatura che determina la velocità di reazione.
Fattori biologici : questo è strettamente legato al fattore climatico in cui al processo di trasformazione del suolo interagiscono altri composti chimici (es. CO2).
Nel momento in cui l'acqua meteorica precipita al suolo (area di alimentazione), inizia il suo percorso seguendo vie preferenziali dettate dalla morfologia esterna e successivamente dalla litologia – strutturale del sottosuolo dove inizia il sistema di vuoti carsici in cui l'acqua circola soprattutto in senso verticale (zona vadosa), lentamente nei pori o nelle fessure e velocemente nei vuoti maggiori. Ad una profondità maggiore l'acqua si concentra sino a riempire tutti gli spazi della roccia, questa è la zona satura (o freatica ) dove si evolve il carso sommerso. Il volume d'acqua della zona satura è soggetto a variazioni che sono strettamente legate agli apporti idrici che interessano il sistema carsico, in modo diretto, costituito dagli afflussi meteorici, che indiretto dovuto a travasi da domini idrogeologici adiacenti. Infine l'acqua sotterranea raggiungerà la zona in cui sono ubicate le emergenze ovvero le sorgenti carsiche.
L'apporto complessivo dell'acqua proveniente dall'atmosfera, che raggiunge la superficie terrestre in una delimitata area si chiama afflusso. L'afflusso nell'interazione con il suolo si ripartisce in diverse componenti definite in base ai differenti percorsi seguiti dall'acqua e dalle differenti reazioni fisico-chimiche subite. Le principali sono: evapotraspitazione, il deflusso superficiale e l''infiltrazione.
Viene definita evapotraspirazione il fenomeno che riguarda le terre emerse ricoperte da vegetazione e riunisce sia l'evaporazione dell'acqua meteorica, influenzata dalla temperatura, dall'umidità e dai movimenti dell'aria, che dalla traspirazione ovvero la perdita di acqua da parte della vegetazione attraverso la superficie esposta all'aria.
Il deflusso superficiale non è altro che il processo di trasferimento superficiale lungo il declivio orografico, perdendo nel suo percorso una certa quantità per evaporazione.
Infine, l'acqua che penetra nel sottosuolo segue un processo di trasferimento definito con il termine di infiltrazione.
L'insieme di questi processi costituisce il bilancio idrologico e rappresenta l'equazione di bilancio di massa dei volumi idrici in ingresso e in uscita dell'area considerata.
In un sistema ideale costituito da una struttura montuosa di roccia porosa omogenea che abbia una permeabilità uguale in tutte le direzioni (isotropa), a contatto con uno strato a permeabilità molto bassa, le acque meteoriche che precipitano sul rilievo, in parte saranno soggette ai fenomeni di evapotraspirazione, una parte defluirà in superficie (ruscellamento superficiale ) dando origine alle risorse idriche superficiali nel momento in cui l'intensità meteorica supera la capacità del terreno di assorbire l'acqua si genera un afflusso superficiale. Quella assorbita dal terreno si infiltrerà nel sottosuolo ( infiltrazione efficace ) verso la zona d saturazione compresa tra lo strato di roccia impermeabile e la superficie piezometrica, per poi defluire verso le zone di emergenza.
P = prcipitazione, E= evapotraspirazione, R= deflusso superficiale, I= infiltrazione, Q= portata che defluisce nel sottosuolo, D= deflusso idrico globale.
Il bilancio idrologico può essere semplificato nella formula:
P = E + R + I
P = precipitazione
E = evapotraspirazione
R = deflusso superficiale
I = infiltrazione efficace
D = deflusso idrico globale
L'evapotraspirazione (E)
intesa come somma della traspirazione (Et) e dell'evaporazione (Ev)
E = Et + Ev
è un parametro di difficile valutazione in quanto dipende da molteplici fattori, in base a prove pratiche sperimentali è stato possibile valutare l'evapotraspirazione con l'uso di relazioni matematiche che fanno uso di parametri da stimare e misurare più attendibili, basati principalmente sull'utilizzo dei dati della temperatura al suolo e della piovosità media annuale;
una di queste è la formula di Turc:
dove :
L = 300 + 25T + 0,05 T3
P = piovosità mm/anno
T = temperatura gradi C° medi
Utilizzando le carte di piovosità e temperatura è possibile ricavare i valori di evapotraspirazione di una determinata zona o bacino.
Nel caso specifico di una zona in cui la piovosità media annuale e di 1500 mm/a e la temperatura media di 14°C si ottiene una stima dell'avapotraspirazione di 704 mm/a e rappresenta una perdita in termini di disponibilità idriche di una zona molto ampia è ovvio che più limitata sarà la zona di studio e quindi con stazioni di rilevazioni più ravvicinate tanto più sarà attendibile il valore ottenuto.
Il deflusso idrico globale (D)
inteso come la somma dei deflussi superficiali (R) e quelli sotterranei (I)
D = R + I
Sono due valori che vengono indicati come presunti, in quanto non derivati da misure dirette, e sono strettamente legati alla litologia del dominio idrologico , più precisamente dal coefficiente di infiltrazione potenziale (c.i.p.).
(Civita)
Il valore del c.i.p. Viene espresso in % per diversi tipi litologici, le variazioni sono legate a vari fattori quali la pendenza dei versanti, la copertura vegetale, la porosità e/o la fratturazione della roccia.
La porosità e la permeabilità delle rocce sono due costanti importanti che definiscono il grado d'infiltrazione dell'acqua all'interno del sistema. La porosità è la proprietà di contenere spazi vuoti tra gli elementi solidi che le compongono, esprime l’attitudine che ha la roccia ad immagazzinare ed a liberare acqua sotterranea. La permeabilità è la proprietà che hanno le rocce di lasciarsi attraversare dall’acqua quando questa è sottoposta ad un certo carico idraulico e viene divisa in permeabilità per porosità e permeabilità per fessurazione. La permeabilità per porosità è tipica delle rocce porose le quali contengono numerosi piccoli vuoti intergranulari tra loro comunicanti. La permeabilità per fessurazione è tipica delle rocce fessurate le quali contengono generalmente pochi vuoti costituiti da fessure grandi e piccole, quindi la permeabilità esprime l’attitudine che ha la roccia a far defluire l’acqua sotterranea. Nello studio delle acque sotterranee si fa distinzione fra rocce permeabili e rocce impermeabili, a seconda della facilità con cui le acque penetrano, circolano e si distribuiscono nel sottosuolo. In conclusione la porosità influenza la quantità d'acqua che la roccia può assorbire ma è la permeabilità che regola il movimento del flusso idrico.
Porosità di alcuni elementi valore espresso in % (Feliccia)
La porosità efficace è la parte di vuoto utilizzabile da un fluido in movimento, questa è una grandezza inferiore in quanto non tutti gli alveoli sono in comunicazione tra loro e abbiano un'ampiezza superiore a 1 micron tale da innescare un movimento del fluido ( acqua gravifica ). Nei calcari il valore del c.i.p. è elevato anche con un valore di porosità efficace relativamente bassa, questo dovuto essenzialmente alla fratturazione e al fenomeno di dissoluzione, che rappresentano per l'acqua sotterranea dei percorsi privilegiati, e confluiscono alla roccia una permeabilità elevata, l'infiltrazione dell'acqua attraverso un sistema di fessure, fratture e piani di stratificazione determinano anche l'evoluzione e lo sviluppo del sistema carsico, in queste condizioni il deflusso superficiale è quasi sempre trascurabile.
Quindi l'infiltrazione efficace può essere definita:
Ie = Ip * c.i.p.
dove Ip rappresenta l'infiltrazione presunta ovvero:
Ie = (P – E ) * c.i.p.
Questa è la quantità d'acqua che entra nell'unità espressa in mm/anno che in alcuni casi può considerarsi anche la quantità di acqua in uscita dalle sorgenti e quindi dal sistema che per assumere un significato dal punto di vista operativo deve essere trasformata in m3/s.
D(m3/s)= Ie(mm/a) * Area di studio (km2) / 31536 (secondi/a)
Questa non tiene conto degli afflussi idrici indiretti (A) provenienti da altre unità, ipotizzabili in base allo studio degli spartiacque superficiali che sotterranei.
(Spartiacque in un massiccio roccioso permeabile per porosità e isotropo in cui il movimento del fluido è uguale in tutte le direzioni)
(Il bacino idrografico, ovvero la parte superficiale di un bacino idrologico delimitato dai rilevi che costituiscono gli spartiacque, corrisponde al bacino idrogeologico, ossia la porzione di bacino idrologico di dominio sotterraneo.)
(In un massiccio carsico permeabile per fessurazione e anisotropo il fluido si muove lungo direzioni preferenziali seguendo le leggi dell'idrodinamica)
(Il complesso reticolo di drenaggio sotterraneo portano le acque dalle zone di percolazione e di ruscellamento in regime vadoso fino alla zona satura ed infine alle emergenze.)
Importanti informazioni sulle caratteristiche della rete di drenaggio in zona satura, i rapporti di scambio tra domini idrologici, l'acqua immagazzinata nelle fratture della roccia infine l'individuazione di sorgenti emissarie, vengono dalle prove di tracciamento.
In questo caso il deflusso presunto in uscita dal sistema diventerà:
D = Ie + A
D = [(P – E) * c.i.p. ] + A
In conclusione i calcoli relativi ai bilanci idrologici, sia che si riferiscono ad interi domini idrogeologici, o parte di essi, possono essere sviluppati in modi diversi a seconda delle caratteristiche del territorio sia superficiale e in particolare quello sotterraneo.
P:precipitazione, E:evapotraspirazione, Ie:infiltrazione efficace, A:afflussi da altre unità, T:trasferimenti ad altre unità, D:deflusso idrico globale, Q:prelievi da attività antropiche
In sintesi un bilancio può essere sviluppato come segue:
viene calcolata la precipitazione media annuale “P” espressa in mm, a questa vengono sottratte le perdite per evapotraspirazione “E” calcolate in modo empirico per ottenere il deflusso globale presunto che nel caso di un massiccio carsico possiamo definirlo come infiltrazione ”Ip” presunta in quanto riteniamo trascurabili i ruscellamenti superficiali “R” , con il coefficiente di infiltrazione otteniamo l'infiltrazione efficace “Ie” che può essere trasformata in m3/sec (moltiplicando per 103 si attiene L/sec) semplicemente moltiplicando l'altezza dell'acqua (espressa in mm/anno) per l'area del dominio idrogeologico (espressa in Km2) e infine diviso per i secondi in un anno (31536 * 103) al dato cosi ottenuto vanno sommati le eventuali stime degli apporti idrici “A”, ottenendo un ipotetico risultato di deflusso che sarà verificato con la misura diretta dei volumi in uscita dalle emergenze se la relazione ha uno scarto medio del 10% possiamo affermare che il bacino idrogeologico é stato ben delimitato.
Questo metodo non è completamente esaustivo, ma ci permette di comprendere meglio il territorio e ci fornisce un'eventuale base da cui partire come studio del bilancio idrologico in quanto altre variabili possono influenzare l'equazione di equilibrio tra l'acqua in entrata e quella in uscita da un sistema carsico ovvero:
{ P + Ae + C } = { Ie + A } + { E + T + Q }
Entrate Uscite Perdite
Dove :
“Ae” sono le alimentazioni per infiltrazione da alveo fluviale, “C” rappresenta la condensazione, l'aria contiene vapore acqueo l'umidità esprime questa quantità in grammi contenuta in un m³ d'aria essa varia tra lo zero ed il valore massimo, detto limite di saturazione, oltre il quale l'acqua non può più restare dispersa nell'aria allo stato di vapore ma comincia a condensarsi. Il limite di saturazione non è fisso ma cresce con la temperatura dell'aria, in altri termini l'aria più calda può contenere più acqua allo stato di vapore che non l'aria fredda. Per esempio a 10° C 1 m³ d'aria è satura con 9g di vapore, mentre a 25° C ne può contenere fino a 23g. Nel caso in cui la temperatura da 25° C passa a 10° C vengono rilasciati 14g di acqua per m³.
“T” sono le perdite verso altre unità idrologiche, “Q” prelievi da attività antropiche.
Considerazioni: ai fini speleologici conoscere e calcolare il bilancio idrologico, la quantità d'acqua in entrata ed in uscita di una determinata area, può non avere molto senso, se non siamo interessati alle riserve idriche, al suo utilizzo ed eventuali contaminazioni delle stesse, ma la conoscenza e lo studio del territorio analizzato a livello idrogeologico, rappresenta uno strumento in più nell'individuazione di eventuali cavità ipogee, in cui l'esplorazione è il fine della speleologia.
Bibliografia:
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Paolo Brunettin